Attivista

La storia di Elisa Agnini e del marito Vittorio Lollini è stata riportata alla luce nel 2012 dalla pronipote, Silvia Mori che, dopo aver trovato in cantina una vecchia valigia piena di carte e documenti appartenuti ai bisnonni materni, ha scritto il romanzo “La dama del quintetto” (Luciana Tufani Editrice, 2012), ricostruzione storica e letteraria degli anni italiani compresi tra l’ultimo decennio del XIX secolo e l’avvento del fascismo, con la presa di Roma e l’uccisione di Matteotti.

Elisa Agnini, sorella minore di Gregorio, nasce a Finale il 24 marzo 1858. L’8 agosto 1885, all’età di 27 anni, sposa Vittorio Lollini, avvocato modenese che a Finale, dove il padre era cancelliere della Prefettura, frequentava i circoli socialisti e, inevitabilmente, casa Agnini. Qui conobbe appunto Elisa, con cui si trasferì poi a Roma per svolgere l’attività di avvocato penalista. In questa veste, rappresentò la difesa in molti processi politici tra la fine dell’800 e i primi del ‘900: tra gli altri quello al cognato, Gregorio Agnini, imputato di associazione a delinquere, e quello a Leonida Bissolati. Lollini fu poi eletto parlamentare nella XXI, XXV e XXVI legislatura. Fu relatore di importanti progetti di leggi sulla bonifica dell’Agro Pontino, sull’edilizia popolare e sulla ricerca della paternità, tema quest’ultimo molto caro alla moglie Elisa, che affiancò ben presto il suo all’impegno politico del marito. Elisa, infatti, dopo aver cresciuto le quattro figlie (Olga, Clara, Livia e Clelia, tutte destinate a brillanti carriere in diversi campi), si dedica alle urgenze sociali di un’Italia che sfrutta senza ritegno donne e bambini, categorie sprovviste di qualunque difesa e continuamente vessate. Una vicenda privata, come il suicidio della domestica di famiglia messa incinta da un carrettiere di passaggio, spinge Elisa a impegnarsi ulteriormente in ambito sociale e politico.

Nel 1896, insieme a Giacinta Martini, Alina Albini e Virginia Nathan, fonda a Roma l’Associazione per la Donna, che raccoglie le esponenti più vivaci e attive del nascente movimento femminista romano. Elisa è uno degli elementi di spicco dell’associazionismo femminile nei primi vent’anni del XX secolo e lavora con impegno e competenza, battendosi per la tutela delle donne e per il conseguimento dei fondamentali diritti politici e civili.

Allo scoppio della prima Guerra mondiale Elisa si dedica con costanza ed energia a lavori di rilevante impatto sociale, perché comprende come la lontananza degli uomini al fronte renda ancor più precaria la situazione giuridica ed economica delle donne. Decide allora di fondare un Comitato per l’assistenza legale delle famiglie dei richiamati, con l’appoggio morale e tecnico di suo marito, che può offrirle consulenza giuridica. Apre un ufficio per espletare le pratiche per la legittimazione dei matrimoni e dei figli naturali e, dopo i rifiuti dei ministri Salandra e Orlando, ottiene da Bissolati, ministro per l’Assistenza militare e le pensioni, che pensioni e sussidi vengano estesi anche alle famiglie illegittime.

In un intervento sull’ammissione degli uomini nel Comitato Pro Suffragio Femminile, del cui direttivo faceva parte, sostenne appassionatamente che «quando gli uomini e le donne collaborano assieme per qualche riforma morale od economica portano gli uni e le altre il loro contributo di pensiero e d’azione che, appunto perché diverso, è più completo e più efficace nei risultati. Indole disparate si integrano per legge di natura e formano un tutto armonico... Per me in ogni manifestazione della vita, ci deve essere cooperazione tra i sessi, anche se l’idea per cui si combatte interessa apparentemente un sesso solo».

Se ne andrà, colpita da un tumore all’esofago, nel 1922, esattamente il 22 giugno, senza veder realizzato l’obbiettivo del voto alle donne, che sembrava ormai vicino, ma che la Marcia su Roma di qualche mese dopo allontanerà nuovamente fino al secondo dopoguerra.

Nel testamento lasciato alle figlie, scrive: «... Misero chi, abbattuto dal destino contrario, non lascia in eredità ai propri figli uno spirito vivificatore che sia loro d’incitamento nella lotta per la vita. La vita è spesso dolore e disillusione, ma è anche essenza spirituale che ognuno deve mantenere intatta, per trasmetterla alle generazioni a venire. La vita senza idealismo non può generare azioni alte e buone; anche se l’idealista non è compreso e può essere a volte deriso, la soddisfazione che prova sentendosi al di sopra delle bassezze umane gli è conforto sufficiente».