Attrice

Non è un personaggio finalese in senso stretto, ma la sua storia incuriosisce: sarebbe interessante conoscere perché, dopo una carriera spesa sui palcoscenici di tutt’Italia e un’intrigante love story addirittura con Carlo Goldoni, sia venuta a finire i suoi giorni proprio a Finale, probabilmente in miseria, nel 1760.

Nata intorno al 1715 in una famiglia di attori di origine napoletana, Elisabetta D’Afflìsio Morèri è più conosciuta col nome di Passalacqua.

Iniziò molto presto a recitare, alternando alla prosa la danza, il canto e l’acrobatica. «Esercitavasi nel Ballo con molta grazia; aveva qualche intelligenza della musica, e fece talvolta spiccare in essa la sua abilità, cantando in Musicali Operette ed Intermezzi. Giocava assai bene la Bandiera e sapeva con la spada schermire a meraviglia» (E Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani, I, Padova 1781).

Come cantante e servetta fu scritturata per la stagione di primavera del 1735 da Giuseppe Imer (capocomico, gestì il programma del teatro S. Samuele a Venezia e Goldoni fu con lui come poeta di compagnia. Introdusse negli spettacoli gl’intermezzi musicali), costretto a sostituire i migliori attori della sua compagnia (l’Arlecchino Costantini e la servetta Pontremoli partiti per Dresda, e la prima amorosa Zanetta Casanova impegnata a Mosca).

Nell’impossibilità di trovare un degno successore per la prima donna, l’Imer aveva deciso di sdoppiare il ruolo della Casanova (Giovanna Maria Farussi detta Zanetta, moglie di Gaetano e madre di Giacomo Casanova), affidando il carattere di amorosa alla Ferranti e quello di “soubretta” alla D’Afflisio.

Il giudizio del Goldoni sulla sua abilità di interprete è contraddittorio: nei “Mémoires” critica duramente la sua interpretazione della “Fondazione di Venezia” che giudica falsa, monotona e affettata; nella prefazione al XIV tomo delle “Commedie” è invece più cauto: “giovane spiritosissima, che faceva tutto passabilmente e niente perfettamente. Cantava, ballava, recitava in serio e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera, parlava vari linguaggi, era passabile nella parte della Servetta e suppliva passabilmente negli intermezzi”.

Più che per le sue doti di attrice, però, divenne nota per la sua vita privata. Divenuta l’amante del commediografo, finì per tradirlo con il primo amoroso della compagnia, Antonio Vitalba. Ciò suscitò prima la gelosia, poi lo scherno del Goldoni, che si vendicò costringendo i due attori a recitare in un’opera chiaramente ispirata alla vicenda: Don Giovanni Tenorio o Il dissoluto punito.

All’epoca non esistevano ancora i paparazzi, ma la tresca tra il Goldoni e la D’Afflisio ebbe una tale eco che molti anni dopo, il pittore Domenico Morelli, che riformò la scuola pittorica napoletana nel secondo Ottocento, dipinse la sequenza biografica “Goldoni e la sua amante Madame Passalacqua” (1865-69).

L’attrice uscì comunque danneggiata da questa vicenda: divenuto direttore della compagnia, il Goldoni la sostituì per il canto e gli intermezzi, lasciandole unicamente il ruolo di serva, e occasionalmente di seconda donna e si liberò del Vitalba che passò a recitare al teatro S. Luca.

Con il ruolo di prima amorosa, la D’Afflisio riscosse con la compagnia Vendramini i suoi maggiori successi, affermandosi soprattutto come attrice tragica; secondo quanto scrive il Bartoli nelle sue “Notizie istoriche de comici italiani”, interpretò il ruolo della protagonista nella tragedia Berenice, regina d’Armenia di Bartolomeo Vitturi, sostenendo “egregiamente il carattere eroico di quella gran dama”, sia a Venezia sia a Modena, dove si recò nel 1744 con la sua compagnia ospite del teatro Rangone. Fu quindi nella Compagnia dei comici lombardi insieme con Francesca Dima, Andrea Nelva, Giovanni Roffi e Rispizio de Antoniis. Con questa compagnia nel teatro di S. Cecilia a Palermo fu vittima di una brutta caduta che la costrinse a ritirarsi dalle scene. Nel “Dizionario Biografico degli Italiani” del 1985, Roberta Ascarelli scrive: «Dopo aver rifiutato l’offerta di un “ragguardevole personaggio”, disposto a farle dono di una dote perché potesse ritirarsi in convento, la D’Afflisio tornò a recitare nel 1749 con una compagnia propria prima al teatro Comunale di Parma quindi a Mantova al teatro Ducale. Non ottenne probabilmente un particolare successo e nella primavera successiva il teatro venne affidato alla compagnia Medebac, invece che alla D’Afflisio. che pure aveva presentato domanda di concessione per quello stesso periodo».

Dopo aver peregrinato con scarsa fortuna nei teatri minori della Lombardia si ritirò infine dalle scene, per morire a Finale nel 1760.